Cop29: il ruolo dell’Azerbaijan e dei paesi amici tra forniture di gas all’Europa e conflitto russo-ucraino

Il 31 dicembre cessa l’accordo tra la russa Gazprom e l’ucraina Naftogaz per il transito del gas diretto all’Europa, accordo che con tutta probabilità non verrà rinnovato. Ad oggi il 18% del gas importato dall’UE arriva tutt’ora dalla Russia.

Detto questo, di positivo c’è che l’UE oggi è in una situazione ben diversa rispetto all’autunno del 2022: gli stoccaggi sono quasi pieni, il numero di rigassificatori è cresciuto e si è alla ricerca di nuovi fornitori.

Ecco che qui entra in gioco l’Azerbaijan ed i risultati della COP29 – la ventinovesima Conferenza delle Nazioni Unite per il cambiamento climatico che si è conclusa di recente a Baku (Azerbaijan), tra disaccordi e insoddisfazioni crescenti. Questa edizione è stata dedicata principalmente alla finanza climatica, nel tentativo di trovare un accordo tra i Paesi per cercare di mettere a terra con concretezza i programmi di contenimento delle emissioni.

Intanto, ciò che emerge è che la “transizione” verso l’uscita dai combustibili fossili, il principale risultato della Cop28 di Dubai, è sparito dai testi principali; il testo finale della conferenza non include misure specifiche per ridurre le emissioni globali, è debole e privo di impegni concreti.

In generale, la COP29 si chiude con molta delusione, come sottolineato dal segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, che ha invitato comunque tutte le nazioni a rispettare l’impegno preso.

Secondo molti osservatori, una delle cause di questo “flop” sta nella stessa scelta del Paese ospitante: l’Azerbaijan fonda, al momento, il 90% del suo export sulla vendita di gas naturale e petrolio e non è affatto in linea con i suoi obiettivi climatici, nonostante nel 2023, nell’ambito degli Accordi di Parigi, abbia sottoscritto l’impegno di ridurre le sue emissioni di gas serra del 40% entro il 2050.

Sembra, quindi, un assurdo affidare le redini dei più importanti colloqui sul clima ad un Paese con una situazione ambientale così compromessa.

Complice dell’operazione del governo di Baku è l’Unione europea, che nel 2022 ha stretto accordi con il Paese caucasico per aumentare le forniture di gas dagli attuali 13 miliardi di metri cubi a venti miliardi di metri cubi entro il 2027.[1]

Pertanto, nel rispetto del memorandum di intesa firmato con la Commissione Europea, il paese si sta muovendo verso l’obiettivo, con le forniture che saranno inviate attraverso la cosiddetta catena di gasdotti del corridoio meridionale del gas che collega l’Azerbaijan con l’Europa attraverso la Georgia e la Turchia.

Nello specifico, il gas che l’Azerbaijan produce attualmente lo esporta già, e non lo esporta attraverso la Russia o l’Ucraina, ma attraverso il gasdotto noto come “Tanap”, il gasdotto Trans-Anatolico che collega il giacimento di gas azero Shah Deniz 2, nel Caspio, con l’Europa meridionale, attraverso la Turchia.

 

 Fonte: Tap – Trans Adriatic Pipeline

 

È chiaro però che l’Azerbaijan non sarà, per ora, la nuova Russia per le forniture del gas naturale all’Unione Europea, in quanto al paese servono investimenti per poter garantire l’aumento delle forniture di gas naturale al mercato europeo e piani di fornitura strutturali e di lunghissimo periodo.

In questo contesto, che presenta i suoi limiti, un barlume di speranza, soprattutto dal punto di vista ambientale e della transizione energetica, è legato proprio al nostro paese, grazie all’accordo siglato, recentemente, tra Tree Energy Solutions (TES), società di energia verde guidata da Marco Alverà e la compagnia petrolifera nazionale azera, Socar. Obiettivo della partnership è quello di esplorare lo sviluppo dell’e-ng (un gas pulito prodotto utilizzando elettricità rinnovabile e CO2) a Baku.

Le due società valuteranno la fattibilità tecnica, economica e commerciale dell’implementazione della tecnologia all’avanguardia dei moduli upstream di Tes nella regione. L’Azerbaijan, grazie alla posizione strategica e all’esperienza di Socar nel settore dell’energia, rappresenta un ambiente ideale per esplorare la produzione della molecola verde e potenzialmente per scalare la produzione per applicazioni più ampie. Oltretutto, l’e-carburante prodotto in Azerbaijan potrebbe essere consegnato in Europa attraverso le infrastrutture di rete del gas già esistenti, come il Southern Gas Corridor.

In aggiunta, altre importanti aziende italiane sono coinvolte nella supposta svolta “green” dell’Azerbaijan, quali: Saipem per l’eolico offshore nel Caspio, Eni per la collaborazione con Socar per la produzione dei biocarburanti.

Ma, prima che tutto ciò si realizzi, cosa succederà dal 1° gennaio 2025?

Per quanto riguarda le forniture di Gazprom all’Europa, secondo S&P Global Commodity Insights, è vero che sono crollate di circa due terzi rispetto ai livelli di prima della guerra, ma non sembrano affatto vicine ad azzerarsi. Al contrario, in luglio – mentre i Paesi Ue riempivano gli stoccaggi, fino a superare il 90% della capienza con due mesi di anticipo sugli obiettivi – dalla Russia sono arrivati via pipeline 2,52bcm di gas, l’11% in più rispetto a luglio del 2023.

In aggiunta, con l’obiettivo di riconquistare quote di mercato in Europa, la società russa non solo starebbe offrendo sconti del 10% e più, ma soprattutto, complici diversi “paesi amici”, sta gettando le basi per garantire che il passaggio delle forniture prosegua anche dal 2025 in avanti, quando il contratto per il transito in Ucraina sarà scaduto.

Intanto, come già detto, l’Azerbaijan con le proprie risorse non solo non è in grado di raddoppiare, entro il 2027, le esportazioni di gas verso l’Europa, consentendo di potenziare i gasdotti Tanap/Tap, ma, addirittura, sembra che si presti ad agevolare la distribuzione del gas russo: una richiesta arrivata non solo da Mosca ma anche da autorità ucraine e della Ue, interessate ad evitare il contraccolpo di un crollo troppo brusco delle forniture di Gazprom.

In effetti, sfruttando le reti di trasporto di Paesi compiacenti ed eventuali contratti di swap, non è difficile mescolare le forniture russe ad altre di origine diversa, per poi smerciarle in Europa.

In questo scenario emerge un ruolo, sempre più di primo piano, assunto dalla Turchia che, con il gasdotto TurkStream e le sue diramazioni verso l’area balcanica, è già diventato il principale gasdotto utilizzato da Gazprom per servire l’Europa: nei primi sei mesi di quest’anno le forniture inviate su questa rotta – alla frontiera tra Turchia e Bulgaria – sono aumentate del 54%, con volumi, secondo S&P Global, superiori a quelli via Ucraina.

La Turchia – da cui passa non solo il TurkStream, ma anche il Tanap, che si congiunge al Tap per portare fino in Italia il gas azero – diventa così uno snodo principale per le forniture di Gazprom, essendo in grado di esportare fino a otto miliardi di metri cubi all’anno di “Turkish Blend”, una miscela di gas di provenienza mista (Russia inclusa), con la possibilità rafforzare la capacità di esportazione con investimenti che non implicano la costruzione di nuove pipeline.

In questo quadro che si va così delineando, tasselli importanti sono anche i paesi compiacenti: Ungheria e Romania; con il governo di Budapest, sotto la guida di Viktor Orban, vicino al Cremlino, che ha aumentato le importazioni di gas da Mosca, siglando nel 2022 un nuovo contratto, a condizioni di estremo favore e con volumi maggiori rispetto al passato e spesso, con forniture che riesporta verso la Slovacchia, la Repubblica Ceca e la Serbia.

La Bulgaria, invece, ha siglato di recente un contratto per importare gas dalla Turchia. Il Paese gode di una posizione strategica, essendo non solo raggiunto dal TurkStream – che proprio qui si dirama verso i Balcani – ma è anche collegato al South Stream Corridor, il gasdotto che trasporta gas russo, via Mar Nero, fino in Bulgaria.

 

Fonte: Turk Stream

 

Fonte: European Parliament – Directorate-General for External Policies

 

L’UE, dal canto suo, continua a cercare fornitori sostitutivi, ma a meno di pochi giorni dalla fine dell’anno e dalla scadenza del contratto per il transito del gas russo attraverso l’Ucraina, non ci sono ancora alternative definitive a Mosca.

Ma, dunque, c’è la possibilità che all’ultimo momento sia possibile mantenere il transito attraverso l’Ucraina?

Dopo aver rifiutato categoricamente di trasportare il gas russo in Europa, l’Ucraina ha proposto uno schema alternativo per l’utilizzo del proprio sistema di trasporto del gas, che prevede la sostituzione del gas russo con il gas azero.

Qui, però, dobbiamo ricordare il motivo addotto per il rifiuto di estendere il contratto di transito, ovvero, l’intenzione di privare il “paese occupante” delle entrate derivanti dalle esportazioni di gas verso l’Europa, finanziando in tal modo la guerra. Sappiamo, intanto, che l’Azerbaijan non ha gas in eccesso; lo fornisce già all’Europa al limite delle sue capacità. Quindi, dovrà inevitabilmente acquistarlo dalla Russia o stipulare con essa un accordo di agenzia, il che significa che i proventi delle esportazioni dell’“occupante” non scompariranno.

È questa la principale contraddizione dello schema proposto dall’Ucraina, che creerebbe così un precedente per la comparsa in Europa del gas pseudo-azero, che in sostanza rimane russo.

A fronte di questo scenario, ci chiediamo: possiamo fare veramente a meno della Russia?

Al di là delle supposizioni, quello che è certo è che la guerra degli idrocarburi sarà lunga, mentre le economie europee non sanno ancora come affrontare le sfide energetiche emancipandosi dai “nemici”. (a cura di Maria Di Florio)

[1] https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/ip_22_4550