Africa, ultima frontiera – terza parte

Dopo i primi due capitoli sull’ Africa pubblicati nei numeri 01/23 e 03/23 della nostra Newsletter affrontiamo ora il tema relativo alla logistica.

Premettiamo che non è nostra intenzione approfondire tecnicamente la situazione dei progetti che sono stati impostati in tempi anche remoti per lo sviluppo interno, sia di una rete ferroviaria armonizzata che soprattutto di una rete stradale capillare a copertura di tutto il territorio del Continente.

Il network stradale

Abbiamo già accennato al metodo utilizzato per dividere grossolanamente l’Africa in macro-zone, anche profondamente diverse fra loro sia per sviluppo che per stabilità che per situazioni socioeconomiche.

Alla fine del periodo coloniale, ovvero addirittura negli anni ‘60 dello scorso secolo, su iniziativa dell’ UNECA (UN Economic Commission for Africa), ADB (Africa Developmnet Bank) e l’ African Union di concerto con le comunità regionali internazionali, venne impostato e poi avviato il progetto denominato Trans–Africa Highway network (successivamente e forse più adeguatamente chiamato anche Transcontinental road network).

Il criterio era ed è simile ai progetti di viabilità impostati dall’Unione Europea (corridoi principali e diramazioni) anche se in verità la UE lega sia la parte stradale sia quella ferroviaria e quella fluviale e aerea, e anche i nodi di riferimento logistici portuali e interportuali in maniera molto più coordinata e complessa.

Va inoltre ricordato che, quando si parla di “highways”, per questo continente vanno dimenticati nella maggioranza dei casi gli standard ed i parametri di riferimento sia delle autostrade europee che men che meno di quelle USA.

Questo per le profonde diversità dei variegati contesti sia politici che sociali e tecnici dei territori di transito e dei rapporti esistenti fra i vari paesi che vanno da consolidate collaborazioni a situazioni di conflitti aperti.

Quindi ci sembra più adeguato parlare di “road”.

Comunque, il progetto si è successivamente adeguato agli sviluppi dei tempi e nell’ultima versione prevede dieci corridoi principali e relative diramazioni, per un totale di circa 57.000 km di strade asfaltate di cui alcune a carreggiate separate da spartitraffico ed altre più semplicemente asfaltate e adeguate agli standard generici internazionali.

La parte in fase di ampliamento poi è ancora più variegata perchè va da corridoi quasi completati ad altri solo nominalmente avviati o comunque con prospettive di completamento lontane nel tempo.

Esiste inoltre un complesso problema di manutenzione e mantenimento per molti tratti completati, che sono condizionati sia da situazioni ambientali anche estreme che da altre di carattere politico e che ovviamente incidono sull’affidabilità del sistema specialmente per il rispetto dei tempi di transito dei mezzi pesanti e per l’utilizzo di sistemi intermodali di distribuzione e gestione logistica del carico e del relativo hardware (semirimorchi, casse mobili, container ecc.) che spesso sono impiegati in tratte fondamentalmente one way (ovvero import puro).

Solo a titolo di visione dei lettori proponiamo ora una cartina aggiornata al 2019 del progetto che fotografa il network complessivo la cui data di completamento è ancora assolutamente incerta e temiamo lontana, anche se molte tratte, specialmente dei paesi rivieraschi, sono attive ed efficienti. Qui citiamo ad esempio il Trans-Saharan road corridor TAH2 lungo 4500 km fra Algeria, Tunisia e Nigeria iniziato 50 anni fa e ancora in via di definitivo completamento.

A questo “scheletro” di base della rete che evidenziamo nella cartina sottostante si affiancano varianti e diramazioni con progetti locali e bilaterali o multilaterali fra stati confinanti.

Fonte Wikipedia

Il network ferroviario.

Molti dei commenti espressi per la rete stradale si possono tranquillamente replicare per quella ferroviaria, con l’aggravante che la rete ferroviaria necessita di una gestione molto più complessa, sia per il materiale rotabile (locomotori e vagoni) che per il materiale di rete stessa.

La preesistente struttura coloniale rifletteva le esigenze soprattutto del trasporto di prodotti minerari dalle zone di estrazione ai porti di riferimento e, sia per obsolescenza in alcuni casi per inadeguatezza tecnica, spesso non ha significativa connessione con un network moderno e soprattutto funzionale al trasporto di carichi unitizzati con collegamenti dai porti alle aree di consumo urbane o comunque ad alta densità di popolazione.

Esiste inoltre l’enorme problema degli scartamenti diversi fra le varie nazioni.

Dal 2012 esiste un project di sviluppo armonico coordinato continentale dalla AUR (Africa Union of Railways) che tuttavia non prevede l’unificazione degli scartamenti per la troppa complessità di un simile obiettivo, pur esistendo progetti bi o multilaterali fra stati confinanti per un passaggio ad uno scartamento unificato.

Per quanto riguarda la propulsione ferroviaria la maggior parte delle linee sono operate con locomotori diesel mentre solo alcune linee sono alimentate elettricamente.

Inoltre menzioniamo che African Union supporta anche un importante progetto di Alta velocità per la realizzazione, nei prossimi decenni, di un  African Integrated High Speed Railway Network.

Anche qui le differenze fra gli Stati, profondissime in alcuni casi, fanno sì che p.e. il Marocco abbia di già la prima linea di AV in perfetta efficienza su una tratta di significativa lunghezza.

La cartina sottostante mostra quindi la situazione in essere dove si evince che la parte più “tormentata” del Continente, da questo punto di vista e non solo, è proprio quella centrale /equatoriale ovvero quella dove sarebbe più necessario avere una efficiente rete logistica funzionante quanto prima.

 

 

Fonte Wikipedia

 

I Porti principali

Anche in passato la situazione portuale africana, eredità quasi sempre naturale del periodo coloniale delle grandi potenze europee, era caratterizzata da situazioni molto diverse nei seguenti principali settori geografici:

Mar Mediterraneo, Costa occidentale, Sud Africa, Costa orientale, Mar Rosso.

A puro titolo storico menzioniamo alcuni porti “ tradizionali” partendo in senso antiorario dall’ Egitto:

  • Area Mediterranea: Tunisi, Benghazi, Algeri;
  • Costa Occidentale: Tangeri, Casablanca, Dakar, Abidjan, Tema, Lomé, Lagos, Pointe Noire, Matadi, Luanda, Walvis Bay;
  • Sud Africa: Cape Town, Port Elizabeth, Durban;
  • Costa Orientale: Maputo, Dar es Salaam, Mombasa, Mogadiscio;
  • Mar Rosso: Gibuti. Massaua.

Solo una parte di essi sono rilevanti nel contesto attuale e al fine di questa analisi, dove individuiamo i mega flussi potenziali e per semplificazione concettuale ne consideriamo solamente quattro ovvero Tangeri, Durban, Mombasa e Gibuti.

Tangeri: con l’avviamento del mega terminal Tanger-Med questo porto, nato e destinato principalmente al transhipment (assieme al dirimpettaio spagnolo Algeciras, che movimenta 4,8 mil TEU nel 2022) viene a costituire un punto nodale, data la sua posizione ottimale sullo stretto di Gibilterra dove passano tutte le grandi linee Transatlantiche del Mediterraneo e quelle Asia-Nord Europa, nonché quelle Mediterraneo – West e Sud Africa.

La movimentazione complessiva lo colloca fra i primi 20 porti container al mondo, avendo già ampiamente superato i 7,5 milioni di TEU. (assieme ad Algeciras con ben 12,3 mil TEU)

Durban: porta principale del Sud Africa e dei paesi limitrofi,  intorno ai 3 milioni di TEU e assieme agli altri porti della RSA contribuisce in maniera determinante al volume complessivo di circa 5 milioni di teu di movimentazione di quest’area.

Mombasa: storico porto del Kenya che procede speditamente verso il raggiungimento di un interessante posizione sul mercato del consumo e una funzione di gateway anche per i paesi interni limitrofi con una movimentazione annua di circa 1,5 mil TEU

Gibuti: la Repubblica di Gibuti è un piccolo enclave molto particolare nato per esigenze ed interessi delle grandi potenze coloniali (passate e presenti) e successivamente degli altri portatori di interesse geopolitici in quest’area.

Gode quindi di complessiva stabilità (essendo frequentato ed anche presidiato stabilmente in alcuni casi da “tutti quelli che contano”, o che ambiscono a contare nella geopolitica attuale e futura, essendo vicinissimo allo strategico stretto di Bab el Mandeb, porta del Mar Rosso e quindi del Canale di Suez ) e potrebbe rappresentare – tramite i collegamenti ferroviari e stradali che sono stati implementati o sono in corso di implementazione – un valido porto per i mercati interni centro orientali del continente.

Conclusa questa prima panoramica,  sorge ora una semplice domanda:

in un’ipotetica ottica di realizzazione e sviluppo economico del progetto “Africa” complessivo, quanto potrebbe crescere il traffico container con una implementazione di un mercato di consumo nelle aree più delicate ovvero principalmente in quelle Sub-sahariane?

Di questa considerazione ce ne occuperemo nell’ultimo capitolo.