ESPO: studio sugli investimenti portuali

L’ESPO (European Seaport Organization), l’Associazione europea delle autorità portuali presieduta da Zeno D’Agostino, ha presentato i risultati del suo nuovo studio sugli investimenti portuali. L’edizione precedente era del 2018. Il tasso di risposta alla Survey è stato molto elevato (hanno risposto 84 enti di gestione portuale, rispetto ai 60 del 2018) e riguarda 54 porti della rete centrale “core” della TEN-T (core ports), 46 porti della rete globale “comprehensive” della TEN-T (comprehensive ports) e diversi porti minori che non rientrano nelle due categorie precedenti. L’insieme vale circa il 70% del movimentato (throughput) portuale europeo. In totale sono stati analizzati 467 progetti, nell’84% dei casi si tratta di progetti dove il promotore è l’autorità portuale, ma non si è tenuto conto delle spese di manutenzione dell’infrastruttura e delle vie di accesso, che in alcuni casi, come per l’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale Porti di Trieste e Monfalcone, citato nello studio, sono spese di manutenzione sostanziali e possono rappresentare una sfida.

È uno studio che merita molta attenzione perché siamo a una svolta epocale. Sempre più gli investimenti portuali si caratterizzano per una forte accentuazione del tema energetico e trasporti sostenibili – la stragrande maggioranza dei progetti (84%) contribuisce direttamente o indirettamente a questo scopo – tema che ormai viene considerato, per ordine d’importanza e di volume della spesa, secondo solo al tema delle infrastrutture fisiche e delle opere marittime. I porti finiranno per concepire sé medesimi e per presentarsi al pubblico sia come snodi logistici, sia come hub energetici. Il che è ben comprensibile se si pensa quanto i porti, per la loro collocazione fisica, possano sfruttare la forza del vento, la forza delle acque e la luce solare per produrre energie rinnovabili.

Lo sforzo finanziario però, per reggere questi programmi ambiziosi, è piuttosto consistente e lo studio lo valuta in 80 miliardi di euro nei prossimi dieci anni (è il fabbisogno complessivo di investimenti degli enti di gestione dei porti, basato sul contributo di 84 dei suddetti enti che hanno risposto alla survey), sottolineando il valore sociale di questo investimento che dovrebbe andare a tutto beneficio dell’ambiente. Per questo lo studio vede nell’Unione Europea la principale fonte di finanziamento attraverso i vari programmi (Connecting Europe Facility, Just Transition Fund, il Fondo per l’Innovazione e il Fondo per la Modernizzazione). Il 90% delle risposte afferma che lo scopo principale della realizzazione dei progetti è orientato alla crescita sociale ed economica della regione, confermando quanto la prospettiva storica dei porti sia fortemente orientata su orizzonti regionali. Al tempo stesso però lo studio rileva che la garanzia dei finanziamenti dei governi nazionali e locali non è sempre assicurata, rimangono delle condizioni di aleatorietà che rendono indispensabile l’intervento fondamentale dell’Unione Europea se i porti, oltre ad essere snodi logistici, debbono essere anche hub energetici. Infatti, dallo studio emerge che uno dei maggiori ostacoli è quello di reperire i fondi necessari alla realizzazione dei progetti previsti, anche tenuto conto che gli enti di gestione dei porti stanno investendo su progetti con elevato valore sociale ma con ritorno sugli investimenti incerto.

Qui di seguito abbiamo riportato alcune tabelle tratte dallo studio, per consentire una comprensione maggiore del suo contenuto.

Per scaricare lo studio:   https://www.espo.be/media/ESP-3217_InvestmentStudyReport2024_LR.pdf