È oramai assodato che la portualità italiana non stia vivendo un momento molto felice. Infatti, oltre a cause esogene (quali, ad esempio, la crisi ucraina e quella medio-orientale o l’applicazione del sistema Ets), sussistono fattori endogeni che si stanno aggrovigliando da alcuni mesi e che rischiano di accentuare una situazione di incertezza di cui il settore marittimo-portuale non ha certamente bisogno.
Di che cosa stiamo parlando? Di due vicende che interessano da vicino l’intero sistema portuale nazionale ma che hanno riflessi diretti anche sullo scalo giuliano.
La prima ha a che fare con le nomine di nove presidenti delle Autorità di sistema portuale (di cui cinque già commissariate e quattro in scadenza entro l’anno) tra le quali spiccano quelle di Genova e Trieste.
La seconda riguarda la riforma della legislazione sulla portualità, più volte preannunciata dal viceministro Rixi, ma che non ha ancora visto la luce. Su questo tema l’ultima mossa è quella del ministro per le politiche del mare Nello Musumeci che ha di recente preso l’impegno ad una prossima convocazione del Comitato interministeriale per le politiche del mare proprio con la finalità di avviare il tavolo tecnico sulla riforma della portualità, sulla base delle linee guida approvate dal Consiglio dei ministri.
Da quanto si è capito, se in materia di nomine nulla si muoverà fino a quando non verrà trovata “la quadra” sull’intero pacchetto tra le forze politiche di maggioranza, sulla riforma ci sarebbe una generale convergenza, tecnica e politica, sulla necessità di creare una società nazionale che assuma compiti di coordinamento, di programmazione degli investimenti strategici e di interlocuzione “forte” con i più importanti operatori del settore. In ogni caso, vista l’importanza del tema, vedremo di aggiornarvi sulle norme che verranno formulate per dare pratica attuazione a quanto sin qui dichiarato.
Nella nebulosità della situazione attuale, un punto fermo l’ha messo di recente proprio la Corte costituzionale chiamata ad esprimersi sulla legittimità della legge 26 giugno 2024, n.86 (c.d. Legge “Calderoli”) che, come noto, reca disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario.
Ebbene se in linea generale la Corte con la sentenza 192/2024 ha dichiarato legittimo l’intervento legislativo all’esame (sia pure non necessario, in base alla Costituzione vigente), calandosi nel concreto la Consulta ha richiamato alcuni puntuali principi che dovrebbero indurre ad una seria riflessione prima di procedere oltre in materia di autonomia differenziata.
Ne citiamo solo alcuni che hanno più diretto riflesso sia sull’ordinamento della nostra regione, sia sul settore dei trasporti. Viene, innanzitutto, ribadita l’unitarietà dell’ordinamento statuale che potrà contemplare forme di autonomia solo di alcune specifiche “funzioni” (e non di intere materie) alle regioni ordinarie sulla base del principio di sussidiarietà che richiede che sia scelto, per ogni specifica funzione, “il livello territoriale più adeguato”, ovvero il livello di governo che la può svolgere più efficacemente, soprattutto quando entrano in gioco specifiche finalità strategiche nazionali o, addirittura, europee.
Nessuna applicazione automatica vi sarà poi nei confronti delle regioni ad autonomia speciale come il Friuli-Venezia Giulia che, nel caso volesse richiedere un ampliamento delle proprie competenze, dovrà semplicemente applicare la procedura prevista dal proprio Statuto, a nulla valendo le previsioni della c.d. Legge Calderoli o di suoi ulteriori aggiornamenti.
Puntando poi la lente sull’argomento che qui più interessa, ovvero il sistema dei trasporti e della portualità, chiarissime sono le parole della Corte. Proprio facendo riferimento ai principi di salvaguardia dell’unità giuridica ed economica della Repubblica e a quello, correlato, di sussidiarietà, non potranno essere oggetto di devoluzione, tra le altre, funzioni quali quelle relative ai “porti e aeroporti civili” e alle “grandi reti di trasporto e di navigazione”. Personalmente, eravamo convinti di questo assunto così autorevolmente confermato dalla Corte costituzionale, anche perché, con buona pace di alcuni moderni apprendisti stregoni, l’epoca delle repubbliche marinare è passata da un pezzo. (a cura di Mauro Zinnanti)