Gli Stati Uniti e la trappola di Tucidide

Con questo termine si intendono i possibili sviluppi delle tensioni che si manifestano tra Stati, e le relative tendenze alla guerra; la situazione precisa si verifica quando una nuova potenza (nel nostro caso più di una) emergente (o riemergente) tenta di sostituire una potenza egemone. L’espressione è stata utilizzata in particolare per descrivere un possibile conflitto tra gli Stati Uniti d’America e la Repubblica popolare cinese[1].

In realtà la situazione si è venuta a creare per un estremo indebolimento culturale e ideologico dell’egemone, che ha portato le potenze emergenti (e le emarginate) a osare un riposizionamento geopolitico fondamentale per le loro ambizioni, più o meno legittime.

Intendiamoci, gli USA sono sempre incomparabilmente potenti e non solo militarmente; controllano buona parte dell’economia mondiale grazie allo strapotere della loro finanza, che agisce tramite i fondi di investimento e altre forme di influenza globale. (vedi p.e. la captazione territoriale dell’Ucraina in corso e la garanzia dei prestiti per la ricostruzione postbellica).

Tuttavia, quello che è venuto a mancare in maniera sempre più evidente è l’appeal del modello americano.

Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, l’America trionfante vinse non solo la guerra, ma impose anche un modello di società, di opportunità e di ottimismo al mondo intero.

Giusto o sbagliato che fosse, il “modello americano” rappresentò il punto di riferimento di tutto lo sviluppo successivo del mondo, condiviso ed invidiato dalla stragrande maggioranza del pianeta, che vedeva in esso il riferimento anche per il suo sviluppo e le sue aspirazioni.

Su questa base si delinearono i “confini” ideologici del mondo ed i due blocchi che hanno costituito l’essenza di oltre mezzo secolo di storia.

Tuttavia, un male sottile si insinuava nella opulenta società americana, che ha ritenuto, orgogliosamente, ma anche con arroganza, che il suo modello fosse quello “giusto” e insindacabile per antonomasia, e quindi da esportare, con le buone o con le meno buone, in tutto il pianeta e in tutte le culture che costituiscono la biodiversità sociale e culturale fondamentale del genere umano e il motore essenziale del suo sviluppo.

Il modello poi, recentemente, si è trasformato in una ideologia diversa e lontana anni luce dal modello originale, anzi, quasi contrapposto.

Così l’America trionfante si è trasformata in una America dove un’esigua minoranza elitaria e ideologica, che professa principi e modelli non condivisi dalla stragrande maggioranza del pianeta (inclusa l’America stessa), vuole imporre questo nuovo modello, con una sottile violenza che, tuttavia, non sfugge all’istinto di conservazione e sopravvivenza dei popoli.

L’enorme influenza che hanno acquisito i social, che si aggiungono agli equivalenti sistemi di diffusione e informazione (Tv, radio, giornali cartacei, ma soprattutto online, ecc.), grazie alla globalizzazione di Internet, sono un canale di influenza sempre più efficace e letale sulla stragrande maggioranza della popolazione.

Il controllo degli stessi permette alle élite di inviare i necessari messaggi più o meno subliminali, sia negli spot pubblicitari che nelle news vere e proprie, che sono accuratamente “tarate” per ottenere l’effetto desiderato ed influenzare il sentiment della popolazione su determinati argomenti particolarmente sensibili.

Ed ecco che si allargano a dismisura le distanze fra le posture contrarie e resistenti a questa imposizione e quelle che, in minima parte per reale condivisione ideologica ed in massima parte per sudditanze psicologiche o disciplina di schieramento, dividono sempre più gli schieramenti politici, negli USA in primis, e in derivata di tutto l’Occidente, e principalmente nell’Europa.

Mentre abbiamo visto la crescita delle autocrazie (“democratiche”?), vediamo parimenti la crescita di democrazie (autocratiche?) controllate dalle élite globali sempre più verticalizzate, che sempre meno rispettano le volontà ed i sentimenti popolari ed aumentano pericolosamente le disuguaglianze.

Cosa c’entra tutto questo con lo shipping?

Beh, lo shipping marittimo è il sistema di circolazione sanguigna dell’economia globale, e quindi deve tener conto assolutamente del “metabolismo” planetario.

Le situazioni venutesi ad evidenziare con il periodo del Covid-19, e successivamente anche con la guerra di Ucraina e quella di Gaza, ne hanno evidenziato le criticità, inducendo il sistema a pensare a un rapido e drastico riposizionamento delle produzioni concentrate in Cina, anche tenuto conto del deterioramento più o meno reale delle relazioni degli USA, e quindi anche dei suoi alleati europei più o meno, obtorto collo, con la Cina stessa.

Si sono così avviati i processi chiamati reshoring e nearshoring, che sembravano portare a un importante ridimensionamento delle fondamentali tratte marittime verso gli USA (Transpacifico) e verso l’Europa.

Contrariamente alle prime affrettate valutazioni, però, questi processi si sono rivelati molto più complessi del previsto, e richiedenti tempi molto più lunghi, ma soprattutto costi addizionali, che l’economia mondiale non intende assorbire.

Prova ne è il fatto che i volumi di traffico delle due tratte fondamentali continuano a crescere, o comunque a non diminuire.

Le statistiche del primo semestre 2024, che abbiamo appena ricevuto, confermano che i due trades principali ovvero Far East-USA e Far East-Europa vanno a gonfie vele.

Far East – Nord America + 18,4%

Far East Europa +8,0%

Questo significa che la “macchina” cinese continua a lavorare (e consumare e inquinare) a pieno regime.

Altro che reshoring!! E anche l’Inter-Asia procede a tutto vapore.

In realtà, quindi, l’economia cinese sta continuando a crescere rigogliosamente, anche se con ritmi meno esagerati che in passato, mentre chi è stata fatta collassare, anche se temporaneamente, è l’Europa, e in primis il suo cuore economico, ovvero la Germania, in preda a contagi profondi da parte delle ideologie provenienti dagli Usa e dei fantasmi del suo passato, e da un problema anche interno fra le culture della parte orientale (ex DDR) e occidentale.

Questo con ottima pace delle isteriche prove muscolari europee, guidate da un coacervo di partiti sempre più lontani dalle richieste e dai timori dei popoli comunitari in tema di ambiente, che contribuiscono ulteriormente ad indebolire l’Europa

Leggiamo dal Limes 6/24, che affronta il tema Germania, che effettivamente le industrie tedesche stanno riposizionando le produzioni dalla Cina (anche se con tempi ben più lenti del previsto), ma il grosso delle stesse continua a pensare ad altri paesi asiatici, come alternativa, come da grafico qui sotto riprodotto appunto da Limes, e non a paesi europei o quantomeno mediterranei.

Quindi l’Europa e gli USA continueranno ad alimentare i traffici e i servizi da/per il Far East, nonostante la debolezza europea.

L’attuale letteratura mainstream sostiene che gli USA lasceranno progressivamente l’Europa al suo destino, per concentrarsi sulla Cina.

In realtà, gli USA hanno solamente richiesto ai paesi Nato di sostenere (come da esistenti accordi 2006 e 2014 mai applicati rigorosamente) la macchina militare che li protegge, assegnando il 2% del loro PIL alla “defense spending”.

Intanto, e tanto per gradire, hanno ottenuto 18 miliardi di USD all’anno in più per sempre da Svezia e Finlandia, nuovi membri NATO, nazioni che peraltro sarebbero comunque state “difese”, anche se non fossero entrate formalmente nell’alleanza.

Certo che il combinato disposto, di questo onere e degli indebolimenti strutturali, speriamo temporanei, dell’economia europea, non induce all’ottimismo.

Tuttavia, ricordiamoci che, in effetti, le radici  culturali USA, e anche etniche, sono tutte qui o quasi, e l’indebolimento della Cina è ineluttabile, mentre gli USA non abbandoneranno mai l’Europa per i troppi legami storici ed etnici con essa.

Gli “americani” in realtà sono inglesi, irlandesi, tedeschi (come Trump che nasce Trumpf), polacchi, italiani, ma anche tantissimi spagnoli, anche se passati per un lungo periodo messicano (California, Texas etc.).

Rischiamo quindi un nuovo scenario, che ovviamente aggiorneremo costantemente, pronti a ricrederci con onestà intellettuale qualora il tutto non andasse nella direzione che noi proviamo a simulare.

Per disegnare uno scenario possibile partiamo ora dal vertice della piramide:

Elezioni americane: (novembre 2024) ammettiamo che vinca Trump, anche se di poco, nonostante il cambio in corsa avvenuto sul candidato dei democratici.

Prescindendo dai toni muscolari e caratteriali del personaggio, la politica estera potrebbe essere più pragmatica e meno ideologica a tutto vantaggio di una stabilizzazione complessiva.

Con la stabilizzazione dello scenario ucraino e, quindi, anche dei rapporti con la Russia dalla quale la Germania e l’UE non possono prescindere (non dimentichiamo che Trump è tedesco).

L’Ucraina non entrerà nella NATO (nonostante le delibere “cosmetiche” dell’ultimo summit di metà luglio), ma potrebbe venire accettata come candidata per entrare in futuro, più o meno remoto, nella UE, anche se attualmente è ben lontana da tutti i parametri minimi per potervi accedere, senza che diventi un centro di costo insostenibile per la Comunità europea, che già dovrà sobbarcarsi gli oneri della sua ricostruzione.

Chiaro che nessuno dei due contendenti potrà “perdere”, e quindi sta alla diplomazia trovare la cosmesi affinché entrambi dichiarino la vittoria, ovvero soldi (tanti) per l’Ucraina e territorio (da ricostruire!) per la Russia.

Quindi potrebbe verificarsi che la parte orientale (Crimea e Donbass) rimanga ai russi, che dovranno altresì prendersi l’onere della ricostruzione, e che il resto del paese entri progressivamente nell’orbita europea dal punto di vista economico e non militare, con formula (neutralità o altro) da definirsi. Altrimenti il cerchio non si chiude.

All’Europa (leggi paesi Nato) verrà chiesto il contributo “contrattuale” del 2% del PIL peraltro da applicarsi dal 2024, tuttavia sarà “tollerato” che riprendano le forniture di gas russo, indispensabile perché la Germania riprenda a produrre a costi adeguati e non paghi l’energia in maniera così ignobilmente esagerata rispetto p.e. agli USA stessi, ma soprattutto continuerà a venire garantito l’ombrello militare americano indispensabile alla sicurezza europea, anche se ci potrà essere un diverso atteggiamento sulle eventuali azioni spot di “polizia” territoriale dell’Alleanza, che sarà più orientata all’utilizzo dei partners sia su terra che su mare (dove l’Italia dovrà farsi trovare pronta per ulteriori operazioni in alcuni scenari non necessariamente mediterranei).

La Nato, infatti, da alleanza difensiva sullo scenario europeo è diventata chiaramente una alleanza a orizzonti globali, e soprattutto (ma già da qualche anno in maniera evidente oramai) una alleanza e basta.

Da valutarsi se, chi e come, pagherà i danni di guerra ai tedeschi (ma anche a tutti noi) per la distruzione del North Stream 2, vena giugulare della nostra economia.

Molto più complessa una soluzione finale per la crisi israeliana e medio-orientale che sperabilmente potrà trovare almeno una temporanea (a tempo indeterminato) stabilizzazione, come accaduto finora, che almeno renda nuovamente accessibile il Mar Rosso ai grandi traffici container. Crisi però che potrebbe trovare questa soluzione addirittura prima della fine della presidenza Biden, più per esigenze interne degli USA, in vista delle elezioni di novembre, che per effettive decisioni o scelte geopolitiche.

Gl i USA, quindi, coadiuvati da Giappone e dagli altri paesi QUAD[2] si concentreranno (specie con la US Navy) nella prova muscolare nel Mar Cinese, dove permane e permarrà il dilemma Taiwan, boccone che forse anche per la Cina potrebbe diventare indigesto, almeno nello scenario che configuriamo a medio termine.

Forse anche alla Cina conviene continuare ad “abbaiare”, ma senza mordere…. a Taiwan.

Rimane fuori, quindi, l’oggetto misterioso, ovvero il BRICS (peraltro in continua evoluzione e sviluppo), di cui abbiamo già accennato e che raggruppa paesi molto eterogenei, ma che rappresentano dal punto di vista del PIL e dell’economia un’importante e, soprattutto, crescente fetta del mondo (ora circa 25% ma in decisa crescita verso il 40%), chiamata forse impropriamente “Sud del mondo”.

Ma rimane soprattutto fuori l’Africa che, come detto in svariate occasioni, è uno dei punti chiave per superare la crisi combinata che ci aspetta, demografica, finanziaria e ambientale.

In Africa, peraltro, si stanno impegnando vari attori esterni che, dopo la Cina, a essa si interessano, in particolare la Russia, tramite la sua “legione straniera”, e l’ambiziosa Turchia.

Come si vede, se si materializza il modello sopra ipotizzato, forse la trappola di Tucidide potrebbe per nostra fortuna non scattare. anche se la rasentiamo pericolosamente.

Aggiorneremo a questo punto le nostre previsioni di traffico container al 2050, ma prima dobbiamo aggiornare alla luce del possibile scenario geopolitico più o meno stabile sopra descritto, l’andamento del PIL mondiale, che avevamo già previsto raddoppiare entro il 2050 e che ora vediamo in ulteriore potenziale crescita.

Questo scenario ha un solo difetto, perché elude una soluzione pilotata del primo problema, ovvero quello ambientale, strettamente collegato con quello demografico, e quindi migratorio, che avevamo ottimisticamente ipotizzato.

È chiaro che una maggiore crescita del GDP, oltre ad un aumento del traffico marittimo, corrisponde a una maggiore emissione di elementi nocivi e a un ulteriore perdurare delle fonti energetiche primarie sugli idrocarburi.

Aggiorneremo questo aspetto tecnico in maniera più dettagliata nelle successive newsletter.

(a cura di Diego Stinco)

 

  1. La trappola di Tucidide: così Cina e Usa rischiano di farsi la guerra per paura, su it.

[2] Il gruppo “Quad”, che riunisce Stati Uniti, India, Australia e Giappone, è nato ufficialmente nel 2007 con l’obiettivo principale di contrastare la crescente influenza della Cina nella regione Asia-Pacifico.