Il programma o, per meglio dire, la strategia Global Gateway viene lanciata nel 2021 a seguito della pandemia di COVID-19 che ha messo duramente in evidenza l’impatto delle attuali infrastrutture globali incomplete, o non connesse fra loro.
Nasce così il tentativo europeo di dare un contributo alla riduzione del gap infrastrutturale mondiale e offrire un modello alternativo di investimenti a quello proposto dalla Cina.
Fondamentalmente, con questo programma, la UE è alla ricerca di un ruolo globale più attivo come contrappeso alla Belt and Road Initiative (BRI) cinese e lancia così il pacchetto “Team Europa”[1], che combina risorse dell’UE, degli stati membri dell’UE, della Banca europea per gli investimenti (BEI) e della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS). Si tratta di un modello di finanziamento europeo costituito da un mix di sovvenzioni, prestiti agevolati e garanzie, volte ad attrarre gli investimenti del settore privato, contrariamente alla BRI che si concentra esclusivamente sui prestiti.
Detto in sintesi, Global Gateway è un piano di investimenti nell’istruzione, nella salute ma soprattutto nelle infrastrutture tradizionali, digitali ed energetiche voluto dalla Commissione con lo scopo di intensificare gli scambi commerciali con i Paesi in via di sviluppo, nel contesto di una più ampia strategia di soft power.
Molti analisti, infatti, ritengono che Global Gateway non sia solo una strategia ma soprattutto un progetto geopolitico, essendo le infrastrutture al centro della geopolitica di oggi.
In questo contesto, facendo leva su più fonti di finanziamento, la Commissione Europea arriverà a mobilitare fino a 300 miliardi di euro di investimenti tra il 2021 e il 2027. Tutti fondi per costruire, principalmente, nuove infrastrutture fondamentali per lo sviluppo sociale dei Paesi che vanno dall’area balcanica alla Turchia, dal Medio Oriente all’Africa fino all’ America Latina.
Nello specifico, questi fondi hanno lo scopo di aiutare i paesi in via di sviluppo ad accelerare la loro transizione verde e digitale, avvantaggiando al contempo le economie dell’UE e aumentando l’influenza globale del blocco. Pertanto, possiamo dire che il programma in questione rappresenta un nuovo approccio agli aiuti esteri dell’UE, che non si concentra più solo sull’aiutare i paesi destinatari, ma tiene maggiormente conto anche degli interessi europei, cercando di dar vita ad accordi internazionali e partnership strategici reciprocamente vantaggiosi.
Ma cosa ha spinto la Commissione ad intervenire con questo nuovo programma?
Intanto, come già detto prima, è evidente che Bruxelles cerchi sulla scena internazionale un ruolo globale più attivo come contrappeso alla Belt and Road Initiative cinese. Tradotto in breve, ciò significa creare collegamenti in tutto il mondo, piuttosto che “dipendenze“, se si considera l’influenza che il programma cinese BRI ha prodotto nei paesi in via di sviluppo.
Infatti, in un cospicuo numero di casi, abbiamo visto che i governi dei Paesi beneficiari, che hanno negoziato progetti infrastrutturali finanziati dalla Cina, si sono ritrovati gravati da enormi debiti, incapaci così di garantire finanziamenti per progetti futuri o addirittura di onorare il debito e si sono visti costretti a rivolgersi alle istituzioni finanziarie internazionali (ad es. FMI), sostenute dall’Occidente, per chiedere aiuto per ripagare i prestiti cinesi.
È opinione abbastanza diffusa che la Cina, così facendo, ha finito per creare pressioni che possono destabilizzare i Paesi in via di sviluppo, beneficiari dei finanziamenti, gravando su di essi con un debito insostenibile, al fine di prendere il controllo delle loro infrastrutture e aumentare così la sua influenza.
Facendo leva su questi aspetti critici della BRI, la strategia Global Gateway sembra fornire un’alternativa più affidabile per lo sviluppo delle infrastrutture globali, adottando un approccio etico, in modo che i progetti infrastrutturali non creino un debito insostenibile nei paesi partner dell’iniziativa.
Ecco perché, secondo quanto affermato dalla Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, la strategia di Bruxelles è in grado di offrire ai paesi a basso reddito un finanziamento di progetti “trasparente e basato sui valori“.
Ma vediamo come funziona e soprattutto come è finanziata la strategia “Global Gateway”, attuata nel quadro di un approccio “Team Europa”, che riunisce fondi dell’UE, degli Stati membri e delle istituzioni finanziarie europee, in modo che gli investimenti siano mirati e più efficaci, rafforzando così le iniziative esistenti e promuovendone di nuove.
Facendo leva su tutti gli strumenti finanziari e di sviluppo a disposizione dell’UE e sull’ impegno profuso dagli Stati membri dell’UE, la strategia cerca attivamente di mobilitare finanziamenti e competenze del settore privato e di sostenere l’accesso ai finanziamenti sostenibili.
I progetti che rientrano nel programma, sono stati selezionati in linea con i meccanismi di “governance” dei rispettivi strumenti di finanziamento, in base agli orientamenti strategici forniti dal “Global Gateway Board“[2] con il supporto delle delegazioni dell’UE in tutto il mondo, le quali svolgono un ruolo chiave nell’individuare e coordinare i progetti nei paesi partner.
Le risorse del Global Gateway saranno assegnate su una serie di cinque aree prioritarie che rispecchiano la strategia UE di connettività del 2018, ovvero: digitale, clima ed energia, trasporti, sanità, istruzione e ricerca.
Per quanto riguarda i trasporti, verranno promossi investimenti infrastrutturali a livello mondiale che creino reti di trasporto sostenibili, intelligenti, resilienti, inclusive e sicure per tutti i modi di trasporto, compresi ferrovie, strade, porti, aeroporti, logistica e valichi di frontiera, in un sistema multimodale. Si punta ad attuare progetti di infrastrutture di trasporto che, promuovendo lo sviluppo sostenibile dei paesi partner, riducano le emissioni di gas a effetto serra e contemporaneamente consentano la diversificazione delle loro catene di approvvigionamento.
È anche previsto che vengano sostenute le reti che potranno fornire la connettività con la rete transeuropea dei trasporti, mentre in Africa l’ambizione entro il 2030 è quella di integrare le reti di trasporto multimodali africane ed europee, in linea con i quadri regionali e continentali e adattare tali reti al potenziale economico di una zona continentale di libero scambio africana.
Quello che è evidente è che i progetti di sicuro non mancano: dal digitale alle connessioni, energie rinnovabili e materie prime, infrastrutture ferroviarie e non solo.
C’è da dire però che questo nuovo programma, pur rendendo disponibili finanziamenti per progetti in tutto il mondo, non stabilisce alcuna priorità tra le regioni di destinazione, a parte un focus nei confronti dell’Africa sub-sahariana che viene spesso descritta come la regione di destinazione prioritaria per il Global Gateway.
Infatti, a poco più di due anni dall’entrata in vigore del programma, forse l’iniziativa più significativa finora è stata il lancio, nel febbraio 2022, del primo pacchetto di investimenti regionale “Africa-Europa”, oltre alla firma di accordi internazionali e inaugurazione dei primi progetti infrastrutturali.
Oltre all’Africa, i potenziali progetti finanziati per il 2023, sono stati assegnati a località dell’Indo-Pacifico, con l’America Latina al secondo posto e i paesi del Medio Oriente e del Nord Africa all’ultimo. Infatti, l’area del bacino meridionale se ne è aggiudicati soltanto tre: il cavo in fibra ottica “Medusa” che collega i paesi del Nord Africa con l’Europa; un collegamento elettrico ad alta tensione tra la Tunisia e l’Italia; e un impianto di desalinizzazione in Giordania. Quello che colpisce è che, nel complesso, l’attività finanziata dal Global Gateway nel bacino meridionale è modesta rispetto a quanto l’UE ha stanziato per altre parti del mondo.
Ora, da questa constatazione, sono emerse alcune perplessità e dubbi, soprattutto per quanto riguarda la mancanza di trasparenza sull’avanzamento dei progetti in corso. In aggiunta, c’è da dire che non tutti gli esperti concordano sulla reale portata dell’iniziativa. Innanzitutto perché quasi la metà dei 300 miliardi di euro da mobilitare saranno investimenti privati che l’UE spera di generare con un sistema di garanzie finanziarie, senza considerare poi che l’iniziativa attingerà, in buona parte, a risorse già stanziate dai singoli Stati membri o dal bilancio dell’UE 2021-2027, attraverso i programmi: InvestEU, Orizzonte Europa, Fondo Europeo per lo Sviluppo Sostenibile etc.
Un’ulteriore criticità deriva dal fatto che la metà delle risorse previste dal programma è destinata all’Africa (150 miliardi di euro ca.); ciò sarebbe anche corretto, in quanto una maggiore connettività regionale è essenziale per trasformare, ad esempio, il Nord Africa in un hub industriale ed energetico vicino all’Europa. In tale contesto, la Commissione ha reso noti gli undici corridoi strategici che desidera vedere realizzati per collegare meglio l’UE e l’Africa; corridoi che dovranno potenziare la connettività tra Unione europea e Africa in senso sostenibile, facilitando il commercio e la mobilità sia all’interno del continente sia tra Europa e Africa. Questi corridoi saranno quindi cruciali per lo sviluppo di nuove catene del valore, di cui beneficeranno le industrie africane ed europee. Sfortunatamente, però, il Nord Africa è in gran parte assente da questa rete e figura solo come punto di partenza del corridoio Cairo-Khartoum-Juba-Kampala, che collegherà l’Egitto all’Africa centrale e orientale (vedi figura riportata sotto). È anche noto che la Commissione europea ha preso in considerazione alcuni corridoi aggiuntivi che collegano i paesi del Nord Africa, ma non li ha inclusi nei suoi progetti prioritari.
Fonte: Commissione Europea
La conferenza di due giorni dedicata al Global Gateway, che si è tenuta ad ottobre scorso a Bruxelles, ha sancito l’importanza del programma, in un momento in cui il rapporto con il sud del mondo appare gravemente deteriorarsi, complice anche la guerra in Medio Oriente, nonostante esso sia rimasto troppo a lungo bloccato nelle maglie della burocrazia comunitaria.
Nel corso della conferenza, la Commissione europea ha annunciato la firma di nuove intese nel settore energetico con: Vietnam, Bangladesh, Capo Verde, Tanzania, Filippine e isole Comore; mentre hanno fatto passi avanti il partenariato con la Namibia, il progetto ferroviario con la Moldavia, e nuovi piani di formazione in Armenia, in Kenya e in Tagikistan. Altri investimenti congiunti sono previsti nell’area dei Balcani; in particolare è stata riconosciuta la priorità per lo sviluppo del Trans-Balkan Electricity Corridor, per la creazione di una rete regionale interconnessa tra le reti di trasmissione elettrica di Bosnia Erzegovina, Montenegro e Serbia con quelle di Croazia, Ungheria, Romania e Italia, come anche la realizzazione di importanti collegamenti stradali e ferroviari nella regione balcanica. Per la trasformazione digitale è prevista invece la realizzazione di un cavo digitale sotto il Mar Nero ed un cavo sottomarino in fibra ottica per collegare i paesi del Mediterraneo e del Nord Africa.
Dunque, in questo scenario del tutto nuovo e in divenire, i progetti previsti sono innumerevoli e non è il caso di elencarli tutti. Quel che è certo è che, in uno scenario di crescenti tensioni, la strategia Global Gateway rappresenta un tassello fondamentale per la realizzazione degli obiettivi economici e geopolitici dell’Unione, a patto che i fondi e i meccanismi di erogazione necessari per la sua attuazione siano efficaci e che i progetti rispondano alle esigenze reali dei paesi beneficiari.
Al contempo, però, non bisogna sottovalutare l’incognita principale dell’intero progetto, che riguarda l’accoglienza che tale iniziativa riceverà nei Paesi destinatari e quanto attrattiva essa potrà essere rispetto alla BRI.
Se, da un lato, è vero che la strategia Global Gateway può aiutare l’UE a posizionarsi meglio nella corsa alle infrastrutture e alla connettività globale, avendo così l’opportunità di promuovere i suoi valori e la sua visione della sostenibilità in modo tangibile e duraturo, dall’altro invece, la sfida principale sarà quella di allineare tutti gli attori europei alla cooperazione e alla condivisione degli obiettivi strategici che la strategia mette in campo.
Infine, non bisogna sottovalutare il fatto che rimangono comunque delle criticità, legate soprattutto all’ampio spettro che il programma si prefigge di coprire, e questo inevitabilmente porta a chiedersi: non sarà una goccia nell’oceano, come sostengono in molti, considerata la portata dei piani dell’UE rispetto al fabbisogno di investimenti infrastrutturali dell’intera area a cui si rivolge il programma Global Gateway e, soprattutto, sarà in grado quest’ultimo di competere con la BRI?
È pur vero che, ad oggi, le proiezioni della maggior parte degli investimenti proposti sono ipotetiche, mentre per vedere i risultati reali del piano dobbiamo guardare a ciò che viene effettivamente realizzato e non a ciò che è pianificato. Quindi solo il tempo ci dirà se questa nuova corsa agli investimenti globali sarà una mossa di successo o no.
Attenderemo quindi di vedere quale sarà lo sviluppo reale del progetto e non mancheremo di fornire aggiornamenti in merito ai suoi piani di avanzamento e realizzazione.
[1]Team Europa riunisce l’Unione europea, gli Stati membri dell’UE, incluse le rispettive agenzie esecutive e banche pubbliche di sviluppo, nonché la Banca europea per gli investimenti (BEI) e la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS).
[2] Il Global Gateway Board comprende il Presidente della Commissione e i Ministri degli affari esteri degli Stati membri