NAVI E GUERRE

Il contesto geopolitico attuale nel quale l’azione bellica ed il suo corollario in atto sembra purtroppo estendersi progressivamente nel tempo trasformandosi quindi in un conflitto a bassa intensità ma di durata variabile, che secondo i più attenti osservatori potrà concludersi non prima del mese di ottobre o addirittura novembre, ci impone di spendere due parole prendendo spunto da questo tragico scenario senza la presunzione di ergersi ad esperti in materia.

Troppo complessi, articolati e in continua evoluzione in svariati contesti gli interessi e le partite che si stanno giocando a livello globale.

Tuttavia abbiamo pensato di condividere alcune riflessioni sugli effetti e le conseguenze sul naviglio mercantile e sulle rotte marittime in questo contesto.

La maggior parte delle vittorie e delle disfatte avvenute durante le guerre del secolo scorso ed in particolare a partire dalla Seconda Guerra Mondiale sono state pesantemente condizionate dal controllo militare navale e dalla logistica mercantile del mare.

Citiamo ad esempio le sconfitte delle truppe dell’Asse in Africa, la Battaglia dell’Atlantico vinta alla lunga dagli Alleati che ha permesso la continuità di flussi di forniture di ogni genere dagli Stati Uniti alla Gran Bretagna con gli innumerevoli convogli, il controllo dei mari asiatici conquistato dalle flotte degli Stati Uniti e dei loro alleati che ha impedito la continuità di funzionamento della macchina industriale giapponese per mancanza di materie prime, eccetera.

La stessa guerra vietnamita e le sue necessità logistiche ha poi fortemente incentivato lo sviluppo della containerizzazione, del naviglio e delle relative strutture portuali.

Il controllo dei mari e dei loro punti nodali come Suez, Gibilterra, Malacca, Panama ed altri è sempre stato un punto di forza delle nazioni talassocrate a partire dall’Impero britannico ed a seguire fino all’ attuale egemonia americana, contesto nel quale cercano ora di collocarsi anche le ambizioni delle potenze globali emergenti come la Cina.

In questo contesto le marine mercantili hanno esercitato un ruolo fondamentale.

La marina mercantile britannica è stata per secoli un punto di riferimento e di garanzia per il mantenimento dei traffici commerciali essenziali al funzionamento della macchina produttiva nazionale e per espandere l’influenza economica della bandiera ed i collegamenti nelle colonie e nel mondo nonché – con riferimento nel caso britannico – anche per il mercato dei noli marittimi, considerato che le Conferences sono nate proprio a Londra.

Stesso discorso ancora più evidente per la marina mercantile degli Stati Uniti, in particolare durante il secondo conflitto mondiale, ma anche nel periodo postbellico e fino agli anni sessanta con le celeberrime navi Liberty e Victory ed a seguire con l’invenzione del container vera pietra miliare del trasporto marittimo moderno che ha avuto la sua consacrazione con la guerra del Vietnam.

Da questo momento però è poi iniziata una progressiva decadenza della marina mercantile statunitense che affidandosi completamente alle regole della incipiente globalizzazione ha dismesso il suo potenziale navale mercantile di bandiera lasciando anche il controllo dei suoi traffici strategici a vettori stranieri sempre più competitivi ed organizzati tramite successive alleanze operative.

Attualizzando il concetto allo scenario al quale ci riferiamo quindi possiamo esaminare ciò che si prospetta oggi in alcuni aspetti interessanti sempre con uno spirito di stimolo alla riflessione e scevro da affrettate considerazioni.

A livello globale ci sembra acclarato il concetto che tuttora, anche se in rapido e profondo ripensamento, la fabbrica del mondo è la Cina.

Il traffico containerizzato in particolare sulle due arterie del Transpacifico e del Far East-Europa è dominato dai tre consorzi che controllano ben oltre l’80 percento del traffico complessivo e quindi controllano in pratica potenzialmente l’economia degli Stati Uniti, dell’Europa e quindi di tutto il mondo occidentale.

Consorzio 2M: composto dai due principali vettori mondiali Maersk (multinazionale danese) e MSC (multinazionale con sede a Ginevra)

Ocean Alliance: dove operano Cosco (compagnia di Stato della Cina), OOCL (società di Hong Kong nell’orbita Cosco) CMA/CGM (multinazionale francese) ed Evergreen (multinazionale taiwanese).

The Alliance: con ONE (Società di Singapore partecipata dalle storiche principali società giapponesi NYK, Mitsui OSK e K Line), Hapag Lloyd (storica società tedesca privata sulla quale in un recente passato si erano rivolti anche gli interessi cinesi per un’acquisizione poi respinta) e Yang Ming (taiwanese fortemente partecipata da soggetti governativi e statali di Taiwan).

Vediamo infine che in questo contesto non c’è traccia di vettori americani (l’ultimo vettore americano di alto livello internazionale, ovvero la Sea Land, è stata assorbita dal gruppo Maersk oltre vent’anni fa, l’altra compagnia di stato la APL, acquisita nel 1997 dalla NOL di Singapore, poi confluita nel gruppo CMA che ha acquisito la NOL).

Ora facendo una prima analisi della situazione del momento, constatiamo che i tempi di attesa fuori dai porti americani per le navi portacontainer sono attualmente elevatissimi e tali da far perder almeno un viaggio anno ad ogni nave con evidente e costante perdita di nolo a fronte di costi persistenti (vedi grafico precedente articolo).

Anche questo dato è parte certamente non secondaria del pacchetto molto complesso di elementi che hanno portato all’esplosione dei noli marittimi nell’autunno 2020 e tuttora in corso, fenomeno di cui ci siamo già occupati.

Colpisce che proprio ora l’agenzia americana FMC (Federal Maritime Commission) rivolga una particolare attenzione allo stato dell’arte da tempo esistente sul potere dei tre consorzi e dei loro singoli membri e sulla loro importanza strategica e fondamentale per la sopravvivenza dell’economia statunitense con un richiamo agli obblighi contrattuali degli stessi che sono appunto “filed” nel loro archivio.  Questo non avendo peraltro alcuna alternativa strategica di trasporto da mettere sulla bilancia.

Sull’ Europa invece ci sono segnali di congestion ma certamente molto più limitati e soprattutto con possibilità di servire gli stessi mercati sia dai porti Mediterranei che dal Nord Europa, con noli molto simili e costi fra loro competitivi, anzi addirittura vantaggiosi in particolare nel caso dei Porti Nord Adriatici che servono in maniera sempre più crescente il cuore economico dell’Europa.

Abbiamo collegato questo tema con la guerra in Ucraina che tecnicamente non incide o incide marginalmente con questi traffici,  in quanto pare  evidente che al di sopra dell’ evento bellico in se stesso si  stia svolgendo un braccio di ferro a livello planetario tra Stati Uniti – attuale egemone – ed i pretendenti a sedersi assieme agli USA ad un prossimo tavolo permanente multipolare: la Cina, pretendente legittima, la Russia che vuole ritornare ad esserlo e l’Europa che potrebbe forse cogliere l’occasione per diventar lo, sedersi a quel tavolo e non rimanere sotto di esso.

A questo riguardo all’inizio di marzo quando si era capito che la guerra non sarebbe stata una Blitzkrieg avevamo scritto in altro contesto un passaggio che ci permettiamo di proporre integralmente ai lettori della newsletter.

La crisi ucraina, se la osserviamo da un punto di vista puramente geopolitico può rappresentare un altro scossone al globalismo unilaterale per lasciare spazio ad uno sviluppo bilaterale o addirittura plurilaterale del pianeta.

Forse meno stabile ma probabilmente più dinamico e capace di affrontare le scelte che il mondo dovrà fare anche a breve e con rapidità. Ma questo solo il futuro potrà confermarlo alle prossime generazioni.

Che ripercussioni sul trasporto marittimo ed in particolare su quello containerizzato o comunque unitizzato?

Una minore dipendenza dalla Cina come fabbrica unica del mondo può comportare una minor crescita o addirittura una stabilizzazione delle due tratte principali, vere vene giugulari dell’Occidente, ovvero il “Transpacifico” ed il “Cina-Europa” ma anche certamente una intensificazione dei rapporti via mare fra aree più vicine con una minor necessità di ricorso al super-gigantismo navale.

 

Esprimiamo ora il concetto che segue in via provocatoria e a titolo di stimolo ovviamente ritenendolo almeno allo stato attuale difficilmente pensabile dalle Compagnie e dai consorzi suddetti dati i troppi interessi incrociati che condizionano i servizi marittimi nell’economia mondiale.

Tuttavia teoricamente è uno scenario coerente.

Cosa accadrebbe se uno a caso dei tre consorzi, anche per le “attenzioni” della FMC, decidesse di “alleggerire” i servizi sugli USA considerati gli attuali eccessivi tempi morti di attesa delle navi fuori dai porti americani? E di “switchare” il servizio sull’ Europa?

Probabilmente il traffico sull’ Europa potrebbe assorbire questo aumento di stiva dato che la domanda import è ancora più elevata del trasportato e i porti mediterranei ma anche Nord Europa possono gestire questo traffico.

Anzi, questa mossa potrebbe contrastare l’incipiente fenomeno di vettori alternativi sia della logistica che della distribuzione che tentano di operare direttamente servizi oceanici indipendenti specialmente dall’Asia all’ Europa con navi di tonnellaggio minore, vettori che abbiamo già definito potenzialmente i nuovi outsiders.

Pensiamo in particolare alle rotte con il Nord Adriatico ovvero Trieste in particolare ma anche Koper e Rijeka che non hanno almeno al momento problemi particolari di congestione e nemmeno di inoltro pur lavorando ad alto ritmo.

Potrebbero addirittura esserci anche motivi di pressione geopolitica da esercitare sugli USA per mostrare che non solo l’Europa ma anche loro stessi sono vulnerabili.

Scenario intrigante… ma forse ne potremmo vedere delle belle…