Dal 1° giugno prossimo Zeno d’Agostino non sarà più Presidente dei porti di Trieste e Monfalcone. Prima di dire “si volta pagina”, sarebbe opportuno soffermarsi a riflettere sul senso profondo di quanto è avvenuto a Trieste con la Presidenza di D’Agostino.
Prima riflessione: la Presidenza D’Agostino non ha soltanto cambiato il volto del porto, ha cambiato il volto della città, le ha restituito il suo passato di città mitteleuropea. Ha restituito a Trieste la sua “unicità”, un valore che certe volte è stato strumentalizzato per progetti politici stravaganti, ma che stavolta le è valso un carattere di attrattività per interessi e investimenti di soggetti multinazionali, leader di mercato, come DFDS, HHLA e MSC.
Per lunghi anni il porto ripeteva stancamente di avere fondali da 18 metri e di essere attrattivo per questo, ma le grandi compagnie continuavano a ignorarlo. D’Agostino ha girato le spalle al mare e ha visto il futuro nei collegamenti terrestri. Nel farlo ha avuto dei collaboratori di grande professionalità, Pino Casini nella manovra ferroviaria e in genere nel difficile mondo della regolazione ferroviaria, Antonio Gurrieri, uno dei pochi in Italia a conoscere il mercato dell’intermodale europeo.
Secondo colpo da maestro: aver affrontato la questione lavoro, che era messa peggio di qualunque altro porto italiano, con cooperative fallite, contenziosi…Lo ha fatto con l’aiuto di due genovesi, cresciuti alla scuola dei “camalli”, Mario Sommariva e Franco Mariani. Persone che nel loro DNA hanno ancora quella dote, che oggi va paurosamente scomparendo: il senso della dignità del lavoro. E in tal modo D’Agostino ha sfruttato appieno e lascia in preziosa eredità uno strumento di governance in più: il piano dell’organico portuale.
Governance, parola bistrattata, che rimbalza alla noia nei convegni, dove il suo significato si annebbia, D’Agostino ne ha dato un’interpretazione inequivocabile: responsabilità della funzione pubblica. Il porto è un bene collettivo, lo Stato affida a un suo funzionario il compito di amministrarlo nella speranza che alla fine del suo mandato il valore di quel bene sia aumentato, moltiplicato. Ma c’è un rischio, che la governance pubblica soffochi o limiti l’iniziativa del privato, se esercitata in maniera burocratica. Il segreto è quello di essere un Presidente “di garanzia”, cioè di regolare e facilitare i processi (per esempio, che, se c’è un nuovo insediamento, esso si realizzi nei tempi previsti). E D’Agostino è stato un Presidente “di garanzia”.
Quarto punto: il monitoraggio costante delle attività portuali con la possibilità di disporre di un sistema informatico tale da fornire al pubblico, su richiesta, i dati aggiornati delle movimentazioni; in genere le statistiche non piacciono ai porti e ai loro amministratori. O piacciono a singhiozzo. Con i suoi studi recenti, AIOM ha cercato di dare un contributo, per rendere più completa l’informazione sull’attività portuale.
Quinto punto: l’integrazione di Fernetti e di Cervignano nella rete intermodale in modo da porre le basi di un sistema-porto regionale.
Sesto: l’apertura di un cantiere di riparazione e manutenzione di carri ferroviari a Gorizia, sulla base di una cooperazione tra Adriafer e uno dei leader europei del settore: VTG. In tal modo si è tracciato un solco che potrà essere sviluppato, se il progetto di MSC sull’area ex Wärtsila giungerà a compimento.
Settimo: la reindustrializzazione delle aree retroportuali con l’insediamento di British American Tobacco.
Ottavo: la comunicazione. La città è stata costantemente informata di quel che accadeva nel porto. D’Agostino ha trovato giornalisti attenti e il valido supporto di Vanna Coslovich. Spesso capita d’incontrare, anche all’estero, dei porti “che si fanno i fatti loro” e vivono avulsi dalla vita cittadina o in latente conflitto con essa. Qui non è tanto questione di Presidente buono o mediocre però, qui è questione di maturità dell’opinione pubblica e di chi la rappresenta, è l’opinione pubblica attraverso i suoi organi che deve saper vigilare su un’attività da cui può dipendere il futuro di una comunità urbana.
E questo costituisce, a nostro avviso, uno dei terreni di dibattito aperti del dopo D’Agostino. Invece di formulare congetture sulla sua successione, riteniamo sia più produttivo che i principali soggetti del cluster marittimo-portuale riescano a elaborare e rendere pubblica un’idea di porto per il futuro. Anche per sopperire alla normativa vigente. È veramente singolare che la legge non riservi alcun ruolo specifico alla comunità portuale nella scelta e nella designazione di un Presidente, demandando tutto alle istituzioni politico-amministrative.
Finora abbiamo ripetuto cose che ci siamo già detti, riconoscimenti all’operato di D’Agostino che avevamo già in varie occasioni, non solo noi, formulato. Ora comincia il difficile. Perché quel “voltare pagina” arriva in un contesto di estrema complessità. E lasciamo stare le difficoltà prodotte dalla guerra in Ucraina, dalla reazione di Netanyahu, dagli attacchi degli Houthi e ora dal rischio sempre più vicino di un’escalation del conflitto tra Iran e Israele (senza contare i terremoti politici che possono scaturire dalle elezioni europee e da quelle statunitensi). Restiamo sul terreno del mercato dei traffici marittimi.
Non c’è dubbio che il cambio della guardia alla Presidenza del porto avviene in un momento nel quale ci sono dei soggetti privati che hanno acquisito un tale potere di mercato da condizionare pesantemente le realtà nelle quali si trovano ad operare. MSC è sicuramente una di queste, la sua presenza a Trieste nelle operazioni terminalistiche e nel futuro sviluppo di attività industriali, se vista alla luce anche di recenti “sconfinamenti” in attività editoriali, può indubbiamente creare qualche inquietudine. Ma, come al solito, è inutile gridare “al lupo, al lupo!” o invocare improbabili ombrelli protettivi di una qualche Autorità di regolazione; un potere può diventare “strapotere” solo quando la società civile e le sue rappresentanze glielo permettono e, invece di rivendicare la propria autonomia di giudizio, si sottomettono umilmente.
Ma c’è un altro aspetto da tenere in considerazione, che a noi pare di decisiva importanza: Zeno D’Agostino non se ne va lasciando dietro a sé soltanto quanto ha fatto ma con un vasto programma di cose da fare. (1) Sono spunti a livello progettuale ma rispecchiano un punto di vista su cosa potrebbe essere un porto, del tutto inedito. È la parte più importante della nostra riflessione, è una cosa di cui ancora poco si è discusso e sulla quale anche noi ci muoviamo con cautela a seguito di verifiche con le competenze specialistiche che il tema richiede. Di cosa si tratta? Si tratta di guardare il porto non solo come snodo di trasporti merce in unità di carico standard, ma come “porto energetico”, anzi, come “porto d’innovazione energetica”. Diciamo subito che è un orizzonte sul quale stanno convergendo molti porti, non molti mesi fa il porto di Amburgo si è autodefinito “hub energetico”, il porto di Genova ha lanciato il suo programma di “cold ironing”, però Trieste ha una sua specificità che potrebbe porla in una situazione privilegiata, in modo da realizzare qui quello che in altri porti europei, pur piazzati bene da questo punto di vista, riuscirebbe più difficile. Trieste è dal 1967 un porto energetico di primaria grandezza, punto d’accesso a un oleodotto di vitale importanza per Austria, Germania e Cechia. Questa infrastruttura domani può diventare vettore di energie alternative ma può anche costituire una nervatura su cui corrono le merci più preziose del futuro: i dati. La TAL però non è l’unica risorsa che Trieste può mettere in campo nel quadro vastissimo della “transizione energetica” e del recupero e/o della rigenerazione ambientale. Il rinnovo della concessione a Seastock per l’area dei depositi costieri a fronte di un impegno a creare le basi per rifornire le navi di carburanti di nuova generazione, oltre al gas liquido, al metanolo verde e all’ammoniaca già previsti in alcuni apparati di propulsione delle nuove costruzioni, rientra in questo programma. Chiude questa visione di lungo respiro il Masterplan per l’Orto Franco, da poco presentato, un esperimento ancora senza precedenti nel panorama europeo e che suggella un operato condotto all’insegna costante dell’innovazione.
Ci sembra che D’Agostino sia riuscito in questi nove anni a trovare perfetta sintonia con quella grande tradizione scientifica che a Trieste negli Anni 60 ha portato alla costituzione di un Centro di Fisica teorica di livello mondiale, grazie a personalità eccezionali come Paolo Budinich e al premio Nobel per la Fisica 1979, Abdus Salam, pakistano, di religione musulmana.(2) Un particolare, questo, che va ricordato proprio oggi che il tema della diversità religiosa rischia di diventare divisivo. Quanto a noi dell’AIOM, ci è grato ricordare una collaborazione con l’AdSPMAO sempre cordiale e fattiva; potremmo citare varie occasioni d’incontro in tal senso, ci limitiamo a richiamarne una, la ricostruzione del ruolo del Lloyd Triestino nella diffusione delle tecniche della containerizzazione agli inizi degli anni 70, quando la bandiera italiana, grazie anche a triestini d’adozione come Michele Lacalamita, trattava alla pari con i grandi dello shipping mondiale e costituiva il consorzio ANZECS, per servizi regolari Europa-Australia/Nuova Zelanda con navi full container.(3)
Per concludere, non dobbiamo dimenticare la corretta e cordiale collaborazione con la Regione Friuli Venezia Giulia. La messa a disposizione del finanziamento di 207 milioni per il prolungamento del Molo VIII, decisa dalla conferenza Stato-Regioni, si iscrive in questo quadro di concordia istituzionale e di condivisione strategica.
NOTE
1) v. l’intervista rilasciata a triesteallnews.it il 12 aprile 2024.
2) Paolo Budinich, Arcipelago delle meraviglie. Avventure di mare e di scienza, Asterios Editore, Trieste 2023.
3) Agli inizi del container. Il ‘Lloyd Triestino’ e le linee per l’Australia, Asterios Editore, Trieste 2021.