Sostenibilità aziendale: aggiornamento della direttiva sulla due diligence (CSDD)

Nella Newsletter AIOM Nr. 6 del luglio scorso avevamo trattato il tema della legislazione europea per la tutela del lavoro nelle catene del valore e della posizione del Parlamento UE in merito alla direttiva sulla due diligence in materia di sostenibilità aziendale (CSDD), adottata il 1° giugno u.s. Una direttiva che definisce una serie di responsabilità aziendali in merito a tutte le attività che generano un impatto ambientale e sociale e una misura che ha anche lo scopo di creare le condizioni per prevenire e gestire l’impatto anche a livello di catena di approvvigionamento.

Su questo argomento ora riteniamo utile fornire un aggiornamento della legislazione UE che ha avuto luogo durante questi ultimi mesi.

Innanzitutto, c’è da dire che la posizione del Parlamento europeo sulla CSDD ha costituito la base per la discussione tra le istituzioni dell’UE – Parlamento, Commissione europea e Consiglio europeo – dando luogo così alla fase di “trilogo”, iniziata l’8 giugno scorso, con l’obiettivo di trovare un accordo sul testo definitivo della direttiva ed arrivare a una posizione comune, prima delle prossime elezioni europee che si terranno a giugno 2024. Una volta trovato l’accordo e adottato il testo definitivo, gli Stati membri disporranno di due anni per recepire la direttiva nel diritto nazionale e comunicare i testi pertinenti alla Commissione.

È notizia recente che sono state approvate altre norme strettamente connesse alla CSDD, destinate a cambiare lo scenario nel quale operano le imprese in ambito UE, quali:

  • l’approvazione da parte della Commissione UE degli Standard Europei per la Rendicontazione sulla Sostenibilità (ESRS)[1], predisposti per mettere a disposizione delle imprese e delle organizzazioni, impegnate nella trasformazione sostenibile e nella transizione energetica, degli standard di riferimento per affrontare e “misurare” le questioni ambientali, sociali e di governance, nonché per valutare in modo più appropriato le misure e le azioni per contrastare il cambiamento climatico, per proteggere la biodiversità e per garantire il rispetto dei diritti umani;
  • l’approvazione da parte della Commissione UE della CBAM[2], con le regole per la transizione al Carbon Border Adjustment Mechanism, che partirà dal 1° ottobre p.v. e durerà fino alla fine del 2025.

Inoltre, a giugno scorso, la Commissione Europea ha anche introdotto importanti cambiamenti nella tassonomia per le attività economiche, con l’approvazione del regolamento europeo[3] che fissa i parametri da rispettare per poter definire “sostenibile” l’operato di imprese, istituti finanziari e governi. Nel regolamento sono state incluse, tra le attività economiche che contribuiscono agli obiettivi di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici, quelle legate a due settori industriali finora non considerati, ovvero: il manifatturiero e quello dei trasporti. Un intervento che mira a espandere, con l’applicazione della tassonomia, la promozione di investimenti sostenibili e la concessione di finanziamenti legati alla transizione.

Nonostante le negoziazioni tra Parlamento, Commissione UE e Consiglio europeo siano ancora in corso e, di conseguenza, potrebbero portare a ulteriori modifiche prima che il testo della CSDD sia definitivo, vale la pena sottolineare quali saranno le implicazioni per le imprese e come adeguarsi alla CSDD, considerato che esistono già delle indicazioni su come le imprese possono anticipare i requisiti previsti dalla direttiva.

In particolare, ciò che emerge è che le istituzioni dell’UE, con il testo attuale della direttiva, stanno chiedendo una sempre maggiore responsabilità delle imprese sui diritti umani e sulla protezione dell’ambiente ed oggi questa tendenza si sta trasformando in obblighi legali concreti. Pertanto, gli Stati membri dovranno garantire che le società adempiano ai doveri di diligenza, integrandoli in tutte le politiche aziendali e adottando misure adeguate a individuare e prevenire gli impatti negativi derivanti dalle attività aziendali.

Alcuni paesi europei hanno già imposto obblighi di due diligence e di “reporting” alle imprese per prevenire e rimediare eventuali loro impatti negativi sui diritti umani e sull’ambiente, che prevedono, come requisito comune, la raccolta dei dati dei fornitori, l’identificazione del rischio, la mitigazione del rischio e l’obbligo di rendicontazione.

Anche se, probabilmente, le legislazioni oggi vigenti a livello nazionale saranno da rivedere, nel momento in cui il tema sarà definito in maniera sovranazionale dal diritto comunitario, ad oggi è noto che:

  • La Francia, con l’emanazione della legge francese sul dovere di vigilanza, il 27 marzo 2017[4], è stata il primo stato a imporre un obbligo di due diligence sui diritti umani. Le società francesi con oltre 5.000 dipendenti in Francia e/o oltre 10.000 dipendenti in tutto il mondo, sono tenute a istituire, pubblicare e attuare un “piano di vigilanza” che è destinato a identificare, prevedere e prevenire le violazioni dei diritti umani che potrebbero derivare dalle attività della società madre, delle sue controllate, nonché dei fornitori e dei subappaltatori lungo la catena del valore.
  • Il Regno Unito, nel 2015, ha adottato il Modern Slavery Act[5], che è stata la prima legislazione in Europa a trattare la responsabilità delle imprese per i diritti umani. La legge britannica si limita a imporre di segnalare le misure adottate per prevenire la schiavitù moderna (inclusa quella nella catena di approvvigionamento), ma non impone l’obbligo di adottare delle misure in tal senso.
  • La Germania, recentemente, con la legge tedesca sulla due diligence aziendale nelle catene di fornitura del 16 luglio 2021 (la “LkSG “)[6], entrata in vigore il 1° gennaio 2023 per le imprese domiciliate in Germania e con 3.000 o più dipendenti, prevede un insieme completo di obblighi di due diligence come parte di un sistema di gestione del rischio dei diritti umani, tra cui: analisi di rischio regolari e ad hoc e l’attuazione di misure preventive e di azioni correttive in caso di violazioni e obblighi di reporting.

Ciò detto, è pur vero che le misure autonome adottate da alcuni Stati membri non sono sufficienti per aiutare le imprese a sfruttare appieno il loro potenziale e ad agire in modo sostenibile; da qui la necessità di un quadro giuridico armonizzato nell’UE, che crei certezza del diritto e condizioni di parità, garantendo così alle imprese di affrontare gli impatti negativi delle loro azioni, anche nelle loro catene del valore all’interno e all’esterno dell’Europa.

Quindi, in attesa che si addivenga ad un accordo da parte delle istituzioni europee sul testo definitivo della direttiva, le implicazioni per le imprese e le indicazioni su come esse possano anticipare i requisiti previsti dalla direttiva, sono così riassumibili:

  • creazione di processi interni volti all’identificazione dei potenziali rischi ESG legati alle proprie attività, ovvero i criteri ambientali, quelli relativi all’impatto sociale e di governance;
  • attuazione di audit periodici condotti da strutture dedicate con specifiche competenze;
  • organizzazione di meeting periodici con i rappresentanti di tutti gli stakeholder e con rappresentanti delle comunità locali;
  • preparazione di report volontari sulle procedure interne implementate e sui risultati ottenuti, la definizione di politiche di identificazione e analisi dei rischi ESG.

È chiaro che, per adeguarsi in modo corretto alla direttiva, le imprese dovranno dialogare con tutti gli stakeholder, con particolare attenzione agli attori che operano nelle catene di fornitura: dai fornitori a qualsiasi entità correlata alla vendita, alla distribuzione o al trasporto dei beni prodotti, sino ai clienti e, ove possibile, prevedere il coinvolgimento di questi attori nel processo di due diligence.

Per concludere, a fronte di uno scenario normativo come quello che si sta definendo, per l’applicazione della CSDD sono richiesti impegni importanti per le aziende in termini di investimenti, di formazione e di strumenti digitali, nonché in tema di governance e di sostenibilità, tenuto conto che la direttiva prevede possibili sanzioni pecuniarie e responsabilità civile, in caso di non conformità ai requisiti previsti dalla normativa. A tutto questo dovrà anche seguire la definizione di una strategia efficace per la comunicazione esterna dei risultati della “due diligence”, la cui entità varierà a seconda della dimensione, del settore, dell’ambito operativo e del profilo di rischio dell’azienda.

Per un ulteriore approfondimento, riprenderemo l’argomento non appena sarà trovato l’accordo sul testo definitivo della CSDD da parte delle istituzioni europee.

 

[1] https://finance.ec.europa.eu/news/commission-adopts-european-sustainability-reporting-standards-2023-07-31_en

[2] https://taxation-customs.ec.europa.eu/news/commission-adopts-detailed-reporting-rules-carbon-border-adjustment-mechanisms-transitional-phase-2023-08-17_en

[3] https://ec.europa.eu/info/law/better-regulation/have-your-say/initiatives/13237-Investimenti-sostenibili-tassonomia-ambientale-dellUE_it

[4] https://www.legifrance.gouv.fr/dossierlegislatif/JORFDOLE000030421923/

[5] https://www.legislation.gov.uk/ukpga/2015/30/enacted

[6] https://www.bgbl.de/xaver/bgbl/start.xav?startbk=Bundesanzeiger_BGBl&jumpTo=bgbl121s2959.pdf#_