Trieste, non solo porto

Quando parliamo di “economia del mare” (blue economy) intendiamo qualcosa di talmente vasto che rischiamo di usare un termine che poco significa, perché troppo indefinito. Limitiamoci, pertanto, ai segmenti di questo universo che hanno fatto parte della storia di Trieste. La portualità è certamente il primo, anche in ordine cronologico, se partiamo dall’istituzione del Porto Franco da parte di Carlo VI d’Asburgo (1719). Ma le agevolazioni fiscali non servono a nulla se non c’è materiale umano.

In una società come la triestina di allora, con una classe dirigente che viveva sulla proprietà terriera e sulla rendita, come può funzionare un porto se non c’è il ceto dei mercatores? Bisogna formarli. Nel 1753 Maria Teresa incarica un gesuita di aprire una Scuola di matematica e nautica a Trieste. Ma gli allievi scarseggiano, i nobili della rendita mica mandano i loro figli a rischiare la pelle per mare o a rischiare i soldi nel commercio. E poi il commercio è fatto sì di competenze, ma soprattutto di relazioni, di corrispondenti, il mercante ha bisogno di una rete.

L’editto di tolleranza di Giuseppe II nel 1781, che riprende alcune idee già della madre, sblocca la situazione: chi è famoso per avere vaste relazioni? I greci, gli ugonotti, gli svizzeri calvinisti, gli ebrei. Facciamoli venire. I cattolicissimi sovrani se vogliono un porto, uno sbocco al mare, una flotta, devono concedere libertà religiosa e introdurre deroghe al diritto di proprietà. E arrivano cristiani ortodossi, protestanti, israeliti, Trieste comincia a diventare quel melting pot cui deve il suo mito multietnico.

Finalmente si muove anche l’iniziativa privata, i signori della rendita, i parassiti, imparano a investire. E sono anche loro a finanziare nel 1817 l’Accademia reale di commercio e navigazione, una volta allontanata per sempre la minaccia napoleonica. La frequenta gente della finanza, che mette in piedi il capitale assicurativo, il Lloyd Austriaco nel 1833 e subito dopo la sua seconda sezione, la compagnia di navigazione (1836). La frequenta anche un veneziano, Tonello, che tre anni dopo fonda un cantiere navale, il San Marco. A questo punto i pilastri dell’economia del mare ci sono tutti: portualità, cantieristica, navigazione, assicurazioni e tutto il variegato mondo delle professioni marittimo-portuali. E poi l’industria, la siderurgia, la meccanica pesante. La blue economy di Trieste nasce quando tramonta la vela e inizia l’epoca dell’elica. È qui che Ressel la sperimenta per primo. È qui che si costruiscono tra i primi motori navali. C’è tutto ormai alla metà dell’Ottocento, e tutto, in un certo senso, all’avanguardia. Basti pensare all’Arsenale del Lloyd Austriaco, voluto da von Bruck e da Massimiliano o allo Stabilimento Tecnico Triestino.

Anni Duemila. Cosa resta di questo passato? Non tanto in termini di aziende-simbolo che sono scomparse (i Cantieri San Marco, il Lloyd Triestino, la Fabbrica Macchine) quanto in termini di identità cittadina, di senso comune, di professioni, in termini di cultura diffusa, concentrata magari in certi quartieri. Per cui essere triestino significava essere identificato con la cultura marittimo-portuale. Poco era rimasto, anche Fincantieri di Monfalcone è altra cosa che non parla più italiano e tantomeno dialetti nostrani, ma bengalese. E quando il Lloyd Triestino entra in crisi assieme all’intero armamento di stato negli anni 80 e la crisi si trascina fino all’acquisizione da parte dei cinesi di Taiwan, “el maritimo” è una figura che sta scomparendo nell’immaginario collettivo. Quanto know how andato perduto!

Ma poi arriva qualcuno che quel know how, quella grande tradizione, le ripesca dal passato e le riporta al presente, nella formazione. È un gruppo di persone che fa riferimento a Bruno Zvech e vede tra gli altri, in posizione rilevante, Stefano Beduschi, Vicepresidente di Italia Marittima. Il rilancio dell’Istituto Nautico è un momento importate della storia attuale di Trieste e può essere ben considerato uno dei pilastri di questa rinnovata coscienza marinara della città, accanto alla portualità rilanciata da D’Agostino. E non è un rilancio che avviene solo in aule della didattica, che, per quanto vicine alla realtà, rimangono sempre nella sfera della teoria, è un rilancio reso possibile anche da prospettive occupazionali concrete, non solo in ambito locale con l’armamento ma anche in sfere che con il mare hanno un rapporto indiretto. Una scuola pubblica non può ovviamente svilupparsi al di fuori di un interesse specifico della politica, dello Stato, deve trovare in quella sede un interlocutore. Il rilancio del Nautico ha saputo beneficiare della riforma degli Istituti tecnici e della formazione professionale che, dopo essere stata colpevolmente trascurata da governi che hanno preferito investire molte risorse in sgangherate riforme dell’ordinamento universitario, ha trovato nella Regione Friuli-Venezia Giulia l’interlocutore giusto nell’Assessorato al lavoro e alla formazione.

Da queste premesse è nato il progetto dell’Accademia Nautica dell’Adriatico (2015), sempre grazie all’iniziativa di Bruno Zvech, affiancato ancora una volta da Beduschi. E il legame con la grande tradizione marinara della città è fisicamente simboleggiato dal fatto che la sede dell’Accademia è dentro le mura dell’antico Arsenale del Lloyd, uno dei siti produttivi più moderni di quei tempi, voluto da Massimiliano di Asburgo che lo aveva affidato alla direzione di Ludwig von Bruck. Ma anche l’Autorità di Sistema Portuale ha sede negli edifici ottocenteschi dell’Arsenale, qualche centinaio di metri più in là, nella strada che porta il nome dello sfortunato Ministro di casa d’Austria. Tedesco di nascita, figlio di un rilegatore di libri, von Bruck venne da giovane a Trieste a cercare fortuna nel commercio e colse subito l’importanza del libero mercato in un territorio che andava oltre i confini nazionali, diventando un sostenitore dell’unione doganale tra Austria e Prussia, progetto che portò avanti quando divenne prima Ministro del Commercio e poi delle Finanze. Uomini di larghe idee, veri antesignani di uno spazio euro-mediterraneo, come Pasquale Revoltella, vicepresidente della Società che progettò e costruì il Canale di Suez.

Storie che abbiamo imparato a scuola sin da bambini, ma che sono vive perché c’è qualcuno che ancora oggi sa guardare lontano.

L’Accademia Nautica propone corsi per ufficiali di coperta e di macchina, tecnici per la logistica, progettisti navali, macchinisti ferroviari, tecnici della cyber security marittimo-portuale e da quest’anno anche per maestri velai, non solo, ma è diventata un centro di certificazione internazionale, con l’autorizzazione del Comando Generale delle Capitanerie di Porto, per corsi RADAR, RADAR ARPA, ECTIS, GMDSS, secondo standard IMO SCTW.

L’AIOM è fiera di aver potuto in questi anni collaborare con Bruno Zvech e con Zeno D’Agostino, all’Accademia Nautica ha fornito dei docenti, i quali possono testimoniare che le ragazze e i ragazzi dell’Accademia, dovendo frequentare uno stage curriculare prima di conseguire il diploma, molto spesso vengono confermati dalle aziende prima ancora di aver superato gli esami finali, anche se si tratta di professionalità non esclusivamente nautiche. L’indice di occupabilità è dunque vicino al 100%.